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La panchina Fucsia
Big Bench n° 175 – Levone
Acini E Rose Guest House

La visita a questa panchina vi porta in una diversa zona del Canavese, quella più a ovest, definita anche come Alto Canavese: da ACINI E ROSE si raggiunge in circa mezz’ora di auto.

Prima di arrivare a destinazione, transiterete in una zona pedemontana decisamente poco “bucolica” e, anzi, a spiccata vocazione industriale: è la nostra “piccola Ruhr”, un’area con un’altissima concentrazione di aziende dell’automotive, dalle quali esce il 70% dell’acciaio stampato a caldo italiano e il 10% di quello europeo!
Una storia che affonda le radici a fine ‘800 e che vale la pena di essere raccontata.

Arrivati a Levone, attraversate il piccolo centro abitato seguendo la segnaletica fucsia, imboccate la strada sterrata in salita che inizia ad addentrarsi nel bosco e in pochi minuti sarete “in quota” … tra ordinati filari di viti letteralmente strappati alla collina e piccoli “ciabot” in pietra.

E ora vi spieghiamo dove siete e che cosa vedete da lassù, una volta seduti sulla BIG BENCH FUCSIA!

Seguendo il filo dell’orizzonte, da est, si scorgono le colline del Po e poi la città di Torino. Proseguendo, la vista viene man mano interrotta dai rilievi collinari e montuosi più vicini che, tuttavia, alle loro spalle, lasciano intravedere il Monviso, il re di pietra. Quello che vedete ai vostri piedi è Levone, conosciuto come il paese “delle masche” che, in piemontese, significa “streghe”.

Per comprendere l’origine di questo nome dobbiamo tornare indietro, all’estate del 1474, quando venne istruito un processo a quattro donne del posto: Antonia De Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone e Margarota Braya. Nella lista dei complici c’erano 31 persone, quasi tutte donne, di Rivara, Forno, Busano, Barbania, Rocca, Corio e altri paesi limitrofi.

Le prove dei capi d’accusa contro le quattro levonesi erano allucinanti, l’elenco comprendeva malefizi e cause di morte contro 23 fanciulli, contro adulti, bestiame e accidenti vari. La concretezza delle “prove” era racchiusa nella frase ripetuta ossessivamente per ogni accusa: «E questo è vero, notorio, manifesto, come lo dimostrano la fama e la voce pubblica». Confessate le proprie colpe, le incriminate furino affidate al braccio secolare, cioè al rogo.

Antonia e Francesca passarono in consegna al podestà del paese e il 7 novembre 1474 furono bruciate vive a Prà Quazoglio di Levone, al confine con Barbania; la terza incriminata, Bonaveria, fu ancora sottoposta a processo nel gennaio 1475: dalle carte non risulta altro, ma è probabile il suo successivo supplizio. La più fortunata, o astuta, fu Margarota, fuggita all’inizio del processo e mai più rintracciata.


Tornando, invece, al contesto territoriale, nella zona si snoda una fitta rete di sentieri, percorribili sia a piedi sia in mountain-bike.

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